lunedì 29 ottobre 2012

Come fare per vivere?

L'uomo e l'ambiente che lo circonda: un rapporto difficile che nacque nella notte dei tempi, quando la storia di questo essere intelligente, che avrebbe dominato nel contesto naturale, ebbe inizio.
Le necessità di sopravvivenza nate dai bisogni primari aventi come impulso la continuità della specie portarono l'uomo a modificare continuamente il suo habitat, ai fini del suo sfruttamento; la Terra, con il suo immenso patrimonio di risorse,  era un formidabile contenitore di materia, la base di tutto quello che noi abbiamo.
Con la sua evoluzione, l'uomo ha raffinato la propria vita grazie allo sviluppo della tecnica supportata dalle scoperte scientifiche: un viaggio sorprendente che però ha avuto e continua ad avere un prezzo altissimo che l'uomo non riesce a controllare. 
Oggi si continua a pagare il pesante prezzo del progresso rendendo precario l'equilibrio uomo-ambiente.
In termini pratici l'uomo continua a sfidare il suo habitat in ragione delle sue necessità e del suo progresso, portando a situazioni contrastanti e, talvolta, paradossali.
Ma come riuscire avere strumenti e mezzi che consentano all'uomo di poter continuare ad esistere?
Tutta la premessa è rivolta verso il grave caso dell'ILVA di Taranto, gigante dell'industria siderurgica italiana, importantissimo motore della nostra economia risorsa preziosissima per le zone dove è ubicata, ma tutto è in grave conflitto con gli insediamenti umani che gravitano attorno ad essa in quanto ritenuta a ragione una bomba ecologica che ha compromesso inesorabilmente l'equilibrio uomo-ambiente.
Il contraddittorio connubio rende assai difficile il trovare soluzioni che possano portare il giusto equilibrio per far proseguire l'esistenza del presidio industriale.
Le necessità ambientali legate al diritto alla salute degli abitanti dell'area si scontra con il diritto al lavoro degli stessi abitanti: chiudere quell'industria significherebbe togliere il pane quotidiano a migliaia di famiglie; ma quali sono le cause che hanno portato a tale situazione?
Le ragioni sono insite nell'assenza di regole ambientali che regnarono all'epoca del boom economico, allora si pensò soltanto alla produzione per soddisfare una crescente richiesta da parte di una società che voleva definitivamente dimenticare le rovine dell'ultima guerra, investitori senza scrupoli fecero delle fabbriche una formidabile fonte di profitto in barba alla salute e alla sicurezza di chi ci lavova; la fame di lavoro soddisfava i fabbisogni di industriali senza scrupoli allettati dai grossi guadagni grazie alla grande produzione derivata dalla formidabile richiesta di materie prime: era l'Italia del boom che non pensava ai suoi figli, che non guardava al futuro. Oggi, purtroppo, noi generazioni arrivate dopo stiamo pagando pesantemente le conseguenze di quegli anni è l'ILVA ne è un esempio: decenni di produzione di acciaio senza investimenti per limitare i danni ambientali stanno rovinando l'uomo con le sue mani, oggi si cercano le responsabilità e i capri espiatori, ma nulla potrà restituire all'uomo ciò lui stesso  violentato, deturpato, inquinato.
Ormai è tardi si possono limitare ma non eliminare i danni e in questi periodi di crisi come si fa togliere il lavoro nel dilemma della necessità  di tutelare l'ambiente? E' una domanda alla quale nessuno, neanche le istituzioni, sta cercando di dare risposte concrete.

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